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Sunday, September 23, 2012

La realtà per i filosofi e per i fisici - Di Roberto Vacca, 20 settembre 2012.


Il pezzo di oggi è sulla realtà e sulla< filosofia.  Ne parlano vari
filosofi anche sui quotidiani. I loro testi ogni tanto sono vaghi e
trascurano i contributi che da oltre mezzo secolo sono stati dati da
filosofi/scienziati.
Come diceva Galileo (ma non ritrovo la citazione: se qualcuno la ritrova e
me lo dice, sarò molto grato):
"Non è bene che tutto finisca solo in parole!   (o qualcosa di simile).
Le parole vaghe sono strumenti spesso usati da impostori intellettuali.
Consiglio il libro di Johnson "The Impostors" -- non so se sia stato
tradotto.

Combattiamo

Best
Roberto


La realtà per i filosofi e per i fisici - Di Roberto Vacca, 20 settembre 2012.


Alcuni filosofi stanno dibattendo su come pensiamo e conosciamo la realtà. È problema vitale, ma non si può dire niente di sensato al proposito senza aver studiato fisica. Quando avevo 17 anni lessi l’articolo Kant scritto da P. Carabellese sull’Enciclopedia Italiana. Era interessante, ma difficile: lo lessi varie volte senza trarne giovamento. Lo rileggo ora e confermo la mia insoddisfazione. Se i termini non vengono definiti, si parla attorno alle cose, ma non si dice niente. Lo conferma la seguente citazione di quel testo: “Per Kant il compito della ragione è: mostrare con la propria esigenza di assolutezza che l’oggettività non si esaurisce nei determinati oggetti che l’intelletto costituisce o scopre nel campo del fenomeno sentito nello spazio e vissuto nel tempo. --- La cosa in sé, espressione pura di realtà dell’oggetto, è pur esigenza del pensiero, senza la quale il conoscere umano si disperderebbe in un’inconcludente relatività.”
Trovai nella Critica della Ragion Pura, pagine ben più  chiare e tradussi in italiano i passi sull’impossibilità di dimostrare l’esistenza di Dio. Erano applicazioni corrette della logica di Aristotele, ma non avevano rapporto con altri concetti, che si trovano nell’opera, e che sono avulsi dalla realtà come “il principio trascendentale a priori del giudizio riflettente che conduce al concetto di spiritualità conoscitiva soggettiva”.
Ora E. Severino (in La Lettura, supplemento al Corriere della Sera, 16/9/2012) lamenta che nelle discussioni correnti sul nuovo realismo nessuno citi Giovanni Gentile, la cui filosofia sarebbe «un potente alleato della tecnica» perché avrebbe mostrato “che il pensiero per essere vero, non ha bisogno e non deve corrispondere ad alcuna cosa esterna.   ---- «per sapere se l’intelletto corrisponda alla cosa, intesa come “esterna” alla rappresentazione che l’intelletto ne ha, è necessario che il pensiero confronti la rappresentazione dell’intelletto con la cosa; la quale, quindi, in quanto in tale confronto viene ad essere conosciuta, non è “esterna” al pensiero, ma gli è “interna”. »
Mettere fra virgolette “esterna” e “interna” non serve a definire meglio questi aggettivi. La tecnica, poi, che non è esente da difetti come ogni prodotto umano) non ha bisogno di allearsi a filosofie fatte di parole, specie se di esse non siano date definizioni chiare (formali).
I fisici non parlano di pensare a o percepire oggetti, corpi, processi, fenomeni. Non si limitano a guardarli: li osservano e trovano modi per misurarli. Le misure fatte da operatori diversi coincidono – entro i limiti degli errori che vengono valutati. Quando si riesce ad analizzare anche matematicamente rapporti di causa-effetto, si possono prevedere eventi futuri e calcolare accuratamente i risultati di esperimenti ancora mai eseguiti. Questi successi sono preclusi a chi pensa alla realtà e cerca di conoscerla per similitudini o metafore.
Anche in passato taluno tentò di rivalutare Giovanni Gentile. Il suo pensiero profondo avrebbe dovuto far dimenticare che fu membro del Gran Consiglio del Fascismo e ministro della repubblica di Salò.
Invece non va rivalutato perchè il suo pensiero era irrilevante, i suoi testi insensati. Ecco la prova: nel 1927 Paolo Vita-Finzi pubblicò un'Antologia Apocrifa, in cui la parodia di Gentile diceva fra l'altro:
“L'Io dirà: "Io o sono Io o sono non-Io" trovandosi nella curiosa alternativa di affermarsi negandosi (come non-Io) o di negarsi affermandosi (come Io). Se l'Io è Io si afferma: ma non è più Io per questa sua vuota identità, che è la negazione dell'essenza processuale dell'Io, la quale importa un differenziamento. Viceversa, se è non-Io, esso si nega; ma appunto negandosi riesce ad attuare la sua essenza. Qui dunque l'affermazione pura e semplice, o affermazione dell'identico, è negazione: e la vera affermazione efficace e positiva si opera attraverso la negazione. L'affermazione pertanto, che la disgiunzione garentisce nell'autonoema per quantità, qualità e modalità, è affermazione che è negazione; non è tesi, ma autotesi e quindi divenire, dialettismo.”
Frasi insensate – e seguaci di Gentile si adontarono che il maestro fosse ridicolizzato: “Le frasi della parodia erano scempiaggini. Mai il Maestro le avrebbe dette.”  Invece il pezzo (4 pagine). "è autentico copiato tale e quale senza mutare una virgola” da  Gentile G. - Sistema di logica come teoria del conoscere. I filosofi moderni non parlano di autonoema o non-Io. Gentile danneggiò la cultura. Fu ministro fascista dell’Educazione Nazionale e fece una cattiva riforma.
Non rivalutiamo autori che dicono niente e scrivono oscuro. Primo Levi disse: scrivere per non essere capiti è un artificio repressivo, noto alle chiese e tipico della nostra classe politica. La cultura non deve essere fatta di parole vuote. Deve aderire alla realtà.
Taluno sostiene che dopo Gentile anche Heidegger scoprì che andava criticata la concezione metafisica della verità, ma anche questo filosofo scriveva oscuro. Io sono d’accordo con Karl Popper  su questo e su molti altri argomenti. Dopo una sua conferenza a Roma nel Maggio 1984, chiesero a Popper cosa pensasse di Heidegger. Rispose:
"Era un nazista, cosa che si può perdonare a chiunque, ma non a un filosofo. Dopo la  guerra, interrogato sul suo nazismo, Heidegger disse che Hitler lo aveva deluso. Rifiutò di spiegarsi meglio.  Concludo che Hitler  lo deluse solo perchè aveva perso la guerra. Io non parlo di Heidegger.”
Da anni ormai abbiamo capito che la filosofia non può essere fatta solo di proposizioni che sembrino avere forse un vago senso comune. Oltre mezzo secolo fa Bertrand Russell argomentò (My Philosphical Development, 1959) che per fare filosofia occorre studiare: fisica teorica e sperimentale, fisiologia della percezione, linguistica e logica matematica. Quest’ultima disciplina ha le basi nella logica di Aristotele, poi costruita in modo imponente dai logici medioevali e da quelli moderni. La logica di Boole ha trovato applicazione efficace e universale nella teoria della commutazione, alla base del progetto dei computer. Non ha senso discutere con chi parli ancora di logica dialettica [tesi, antitesi e sintesi] e neghi o ignori il principio di non contraddizione. Questo si applica a proposizioni che possano essere solo vere o false – tertium non datur [1]: “E’ falsa la proposizione che affermi simultaneamente  e nello stesso senso la verità di una proposizione  e del suo inverso.” I pensatori che non lo accettano o non lo capiscono non possono essere presi sul serio. Non ha senso invocare la libertà di opinione. Non neghiamo ai filosofi il diritto di discutere fra loro. Se, però, sono divorziati dalla realtà e non sono aggiornati, abbiamo ragione a non ascoltarli.
Fra loro esiste spesso una omertà furbesca. La evidenziò nel 1996 il fisico Alan Sokal, in un lavoro [Transgressing the Boundaries, Towards a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity] in cui asseriva (in malafede) che la realtà fisica è una costruzione mentale condizionata da fattori sociali: "un dogma imposto dall'egemonia post-illuministica delle visioni intellettuali occidentali". Non parlava delle teorie sulla realtà fisica, ma della realtà stessa. La rivista "Social Text" della Duke University lo prese sul serio e lo pubblicò senza commento. Non evocò critiche da altri accademici. Quei sedicenti intellettuali dimostrarono di non capire se le idee loro, o di altri, abbiano alcun senso o legame coi fatti. Ecco alcune citazioni dal testo di Sokal:
"Le speculazioni psicoanalitiche di Lacan sono confermate da recenti sviluppi della teoria quantistica dei campi." "L'assioma dell'uguaglianza nella teoria matematica degli insiemi è analogo al concetto omonimo affermato dal movimento femminista". "La scienza "postmoderna" ha abolito il concetto di realtà oggettiva".
Qualunque studente di matematica o fisica avrebbe capito subito che il testo era folle e inconsistente. Poi Sokal raccontò la storia in altro articolo sulla rivista Linguafranca denunciando l’assenza di rigore intellettuale di quegli universitari.
Metto, dunque, Sokal insieme a Pareto e Popper nella schiera dei benemeriti che ci difendono dagli impostori. Sono tanti - combattiamoli.



_____________________________________________________________.
[1] Esistono  anche logiche in cui si definiscono non solo 3, ma infiniti valori diversi da “vero” e “falso”, come la logica fuzzy (“sfocata” - che ammette ogni valore corrispondente a un numero decimale compreso fra 0 (falso) e 1 (vero). Trova applicazione nella teoria delle decisioni e dei rischi.
Io pubblicai nel1959  un lavoro sulla logica a 3 valori [“A 3-valued system of logic and its application to base 3 digital circuits”]. Quel “tertium” che davo aveva applicazione nei circuiti di computer – non  significato filosofico

Saturday, September 15, 2012

Pubblicità ed economia: interazioni, di Roberto Vacca, 12/9/2012

Pubblicità ed economia: interazioni, di Roberto Vacca, 12/9/2012

Allego articolo su pubblicità ed economia.
La maggioranza degli spot che vedo in TV mi irrita e dubito  che servano
davvero a vendere di più. La questione è opinabile e riporto opinioni e
considerazioni in merito.
Roberto

“Per assicurare il successo a un libro, quanto sono utili le recensioni sui giornali, le interviste e la pubblicità su periodici, in radio e televisione,?”
Un editore mi propose –una trentina di anni fa - di fare una ricerca per rispondere all’interessante quesito. Chiesi che mi fornissero: testate, date di pubblicazione, testi di articoli e copy di inserzioni e, d’altra parte, numero di copie vendute settimana per settimana.
I dati su recensioni, interviste e pubblicità  erano disponibili. Invece il numero di copie vendute non era disaggregato per settimana, ma solo anno per anno per ciascuna opera. Non c’era possibilità di correlare le iniziative promozionali con le vendite. Lasciammo perdere.
I numeri bruti dicono poco anche su grande scala. Fra il 2000 e il 2011 il Prodotto interno lordo italiano (PIL) era intorno a 1500 miliardi di euro e gli investimenti in pubblicità erano la metà dell’uno per cento del PIL, cioè circa 7 miliardi,. La correlazione statistica fra le due grandezze in quegli 11 anni era il 97%. Crescevano e calavano insieme, ma i numeri non ci dicono se la pubblicità più intensa fa crescere il PIL o se si spende di più in pubblicità quando il prodotto lordo è più alto – le cose vanno meglio. Un’alta correlazione statistica fra due grandezze non vuol dire affatto che una sia la causa dell’altra. Sembrava pensare il contrario Henry Ford che disse: “Chi smette di fare pubblicità per risparmiare soldi, somiglia a chi blocchi le lancette dell’orologio per risparmiare tempo. La pubblicità è l’anima del commercio.”
Però Jerry W. Thomas, Presidente di DecisionAnalyst (azienda attiva in ricerche di mercato e sondaggi), scrisse nel 2008: “Il settore della pubblicità ha sempre un grande potenziale, ma controlla la propria qualità peggio di ogni altro settore. Solo la metà della pubblicità che viene diffusa ha effetti positivi. In parecchi casi ha effetti controproducenti.”
Valutare l’efficacia di messaggi pubblicitari, singoli o facenti parte di una campagna, è arduo. L’andamento delle vendite, infatti, dipende da tanti altri fattori: prezzi, azioni della concorrenza, efficacia della distribuzione (non si vende, se gli stock sono esauriti), tempo atmosferico e così via. Gli effetti della pubblicità non sono istantanei. Si possono manifestare dopo mesi. Dunque sappiamo bene che in certi casi estremi la pubblicità ha impatti forti e drammatici. Misurare gli impatti medi o deboli è un compito molto difficile. Certe grosse aziende specializzate in sondaggi sostengono di saperlo svolgere in modo scientifico. Vi dicono quante persone hanno visto il vostro messaggio, quante lo ricordano a distanza di tempo e quante ne sono state convinte, di che percentuale ha fatto crescere le vostre vendite – e così via. Sono credibili?
Forse io non sono un campione rappresentativo dei bersagli cui mira la pubblicità, ma non credo di aver comprato un’auto, un libro, un paio di scarpe, una bottiglia di vino dopo averne visto uno spot o un’inserzione. Ricordo la serie di vignette per la reclame della Guinness. La didascalia era sempre la stessa: “My Goodness, my Guinness!” [“Buon Dio! – La mia Guinness!”] e la birra veniva portata via a un personaggio da elefanti, scimmie, rapinatori. Chiedevo ad amici ingegneri: “Dell’aria a 2 atmosfere si immette in fondo a un recipiente pieno di un liquido: quando arriva alla superficie del liquido gorgoglia alla pressione di 3 atmosfere. Che liquido è?”  La risposta era: “Vecchia Romagna Buton Cognac – il cognac che crea un’atmosfera.” Però in vita mia ho bevuto solo una Guinness e comprato una sola bottiglia di Vecchia Romagna.
Forse le pubblicità troppo intelligenti sono quelle meno efficaci. Dopo tanti anni ricordo bene Massimo Lopez di “una telefonata ti allunga la vita”, che rimandava la sua fucilazione con lunghe chiacchiere al telefono. Sorrido di Marzocca che fa la mamma di Garibaldi [“Giuseppe passa un momento difficile – risponde!”] ma dubito che abbiano fatto salire di un euro il fatturato della SIP e poi della Telecom Italia.
In TV usano spesso, dopo un programma che si spera sia stato gradito, comunicare: “Questo programma offerto da  xxxx”. Non so quanto possa essere efficace.  Quanto meno si evita così l’irritazione o l’avversione evocata dalla ripetizione eccessiva di certi spot. Se sono decenti causano, comunque, negli ascoltatori la sordità a quel messaggio. Se sono spiacevoli, possono causare nla decisione di rifuggire dal prodotto. Sarebbe bene ricordare che il tempo in cui gli spot in TV interrompono il film che stiamo vedendo, coincide spesso con il tempo per andare al bagno.
Devo ammettere, in fine, che l’idea stessa di convincere tanta gente a fare certe cose è attraente e divertente. La creazione dei messaggi – scritti, detti, in video – è attività stimolante. Nel 1933 Dorothy L. Sayers pubblicò uno dei suoi gialli [“Muder Must Advertise “ – Harcourt,  Brace] col personaggio di Lord Peter Wimsey che investigava assassini nell’Agenzia pubblicitaria Pym – e intanto progettava una forte campagna a premi per le sigarette Whiffle. Molto divertente.
Nel mio romanzo UNA SORTA DI TRADITORI ci ho messo un ex terrorista che si mette a fare il pubblicitario e inventa una campagna per diffondere l’uso del bidet nei paesi anglosassoni. Gli attribuisco anche un’astuta persuasione occulta che fu davvero usata con successo da un noto tycoon passato alla politica, ma ormai avviato al tramonto. (Real cowboys never die – they fade away.)

Friday, July 13, 2012

Scoperta la materia oscura – di Roberto Vacca – 12   Luglio 2012.


L'Universo visibile - Terra, Sole, pianeti, galassie, ammassi di galassie - riempiva di rinnovata meraviglia la mente di Immanuel Kant. Si sarebbe meravigliato ben di più se avesse capito che "il cielo stellato sopra di lui" è solo un ventesimo (il 5%) di tutta la roba che c'è nel cosmo. Il 95% è materia oscura che non si vede. Lo si sapeva da decenni - ma non c'erano prove dimostrate "ai sensi e all'esperienza" - come voleva Galileo.
Ora, però, la materia oscura è stata localizzata e misurata da Joerg
Dietrich e collaboratori. La notizia è grossa, ma se ne è parlato molto meno di quanto si è scritto e detto sul bosone di Higgs.
Nel pezzo allegato racconto come sia stato possibile (70 anni fa) calcolare questa preponderanza della materia oscura. È straordinario che con calcoli che si possono riassumere e semplificare in mezza pagina sia possibile calcolare la massa di materia che non si vede.
La mia spiega è semplificata: se ti sembra difficile, insisti o fattela spiegare -- ne vale la pena.
La nostra mente si arricchisce di più a capire la materia oscura che a discutere se la concertazione sia utile o dannosa [suggerimento: bisogna vedere se la si fa bene o male]
Roberto
 
Scoperta la materia oscura – di Roberto Vacca – 12   Luglio 2012.
Per la prima volta è stata rilevata e misurata la materia oscura. La notizia è sconvolgente perché la materia oscura costituisce il 95% della massa dell’universo, ma non emette, né assorbe luce – quindi non si vede. Che esista non lo sa quasi nessuno.
Un gruppo internazionale di astrofisici dell’Università del Michigan, diretto da Jörg Dietrich pubblica oggi su Nature, un lavoro epocale. Descrivono un enorme “filamento” di materia oscura lungo 58 milioni di anniluce e spesso 3 milioni di anniluce. Si trova a 2,7 miliardi di anniluce da noi e collega due ammassi di galassie chiamati Abell222 e Abell223. Questo enorme oggetto non si vede, ma la sua massa gravitazionale fa deviare la luce proveniente da altre galassie – il che ha permesso di misurarlo. La situazione somiglia, in scala molto maggiore, all’esperienza di Eddington che il 29 Maggio 1919 durante un’eclissi dl sole confermò che la luce di stelle lontane veniva deviata nel passaggio in prossimità della massa del sole, come previsto dalla teoria della relatività.
Dietrich e collaboratori hanno analizzato immagini ottenute dal telescopio Subaru a Mauna Kea e dal telescopio spaziale XMMM-Newton. Hanno calcolato le distorsioni dovute a oltre 40.000 galassie e le hanno confrontate con la distorsione totale. Le differenze hanno condotto a costruire un modello della forma e delle dimensioni dell’immane filamento di materia oscura.
Questa conferma è interessante, ma l’esistenza della materia oscura era data per certa già da decenni – in parte per le considerazioni che seguono, in parte per calcoli che descrivo brevemente più oltre.
L'espansione attuale del cosmo pare sia del tutto diversa da quella iniziale - chiamata "inflazione" e dovuta alla presunta esplosione iniziale. Infatti dovremmo attenderci che, a causa dell'attrazione gravitazionale, l'espansione dovrebbe frenare e infine giungere a un collasso che ricompatti tutta la materia. Non è così: negli anni ‘90 si scoprì che l'espansione del cosmo accelera. Deve esistere, dunque, una forza opposta alla gravità. È l’"energia oscura" - intuita da Einstein. Pare sia prodotta dallo spazio vuoto che, secondo le teorie quantistiche, è pieno di particelle virtuali che si formano, esistono per tempi minimi e scompaiono. Non si sa se l'energia oscura sia costante o variabile. Occorrono nuove osservazioni. Alcuni scienziati mirano a spiegare i meccanismi dell'energia oscura indagando cosa accada allo spazio, al tempo e alla materia ai margini di un buco nero. All'interno di un buco nero la gravità è tanto forte che nemmeno la luce ne può uscire, il tempo si ferma e la materia viene attratta inesorabilmente.
Questi fenomeni possono essere spiegati dall'esistenza di un tipo di materia diversa da quella nota. E', appunto, la materia oscura che costituirebbe il 95% dell'universo. E' priva di cariche elettriche, ma non di massa e interagisce con la materia a noi nota. Non produce radiazioni, non è fatta di atomi e di molecole, ma di particelle finora non osservate, ma solo ipotizzate. Fra queste, gli axioni: privi di carica e di spin e aventi una massa minima - si degraderebbero a fotoni. Fotini: previsti dalla teoria della supersimmetria e aventi spin 1/2. Neutralini e gravitini che hanno massa e che sono soggetti a interazioni deboli. Stentiamo a pensare che si possa parlare con precisione di oggetti che nessuno ha mai visto, nè misurato.
Ma, come dicevo, passiamo ai calcoli. Le formule che seguono sono molto semplici. Forse ricordate che una massa  m  che si muove alla velocità V, immagazzina una quantità di energia uguale a ½ m V2  (energia cinetica). Anche se non lo ricordate, potete trovarne la spiegazione nel Capitolo 5 del mio libro ANCHE TU FISICO.

Il teorema viriale fu dimostrato nel 1970 da Rudolf Clausius. Ne do qui una versione molto semplificata.
Una piccola massa m che ruota attorno a una massa M molto più grande seguendo una traiettoria circolare di raggio  R, che percorre alla velocità V, è sottoposta a una forza centrifuga   F =  m V2/R      che deve essere identica alla forza di attrazione         Fgrav = G m M/R2        ove G è la costante di gravitazione universale che vale 6,673  10-11 m3/kg . s2
cioè:
(m V2 )/R= G m M/R2    da cui:    m V2  = G m M/R 

L’energia cinetica (o forza viva, cioè l’energia immagazzinata nella mass  m  perché si muove alla velocità V) è
            E = ½ m V2   =  ½ G m M/R
Ma    (G m M/R)   è l’energia potenziale del campo gravitazionale considerato.
Il teorema viriale dice, appunto, che quando abbiamo masse in rotazione che si attraggono mutuamente, l’energia cinetica è uguale alla metà dell’energia potenziale.
            In generale con molte masse in rotazione che si attraggono mutuamente (chiamando M  la loro massa totale e chiamando R il raggio medio misurato dal centro di rotazione)
M V2 = G M2 /R
da cui
M = R V2/G
Se possiamo misurare il raggio medio R e la velocità media V di una massa di corpi che ruotano e si attraggono, è immediato calcolarne la massa totale M. Questo è stato fatto per galassie e ammassi di galassie, la prima volta da Fritz Zwicki nel 1933 . Risultato: la massa calcolate è 20 volte maggiore di quella corrispondente alle stelle visibili. La massa del nostro sistema solare è concentrata nel Sole per oltre il 99%. È verosimile che accada lo stesso nel resto del cosmo. Invece no. Come detto sopra, si calcola con estrema semplicità che il cosmo è costituito in misura preponderante da cose che non si vedono e non emettono luce.
La scoperta di Dietrich & Co. sembra davvero epocale.

Friday, April 6, 2012

Di Roberto Vacca, 6 Aprile 2012: Abolire province o prefetture?


Come promesso, non parlo di cose tecnico-scientifiche.
Il pezzo allegato è politico - anche questo contro corrente. Condivido
opinioni del Presidente Luigi Einaudi - e riporto un suo articolo pubblicato
in Svizzera nel Luglio 1944, quando in Italia c'erano i tedeschi. Nel testo
fa anche un accenno ai partigiani.
Einaudi era amico di mio padre, che mi portò a conoscerlo quando rientrò in
Italia nel 1945. Era sceso al Grand Hotel. Quella sera c'era anche il Prof
Gustavo Colonnetti, ingegnere e autore di un lavoro sul calcolo delle
tensioni nelle catenarie dei conduttori delle linee elettriche. Studiai
accuratamente quel lavoro 6 anni dopo quando lavoravo al progetto della
linea elettrica Terni-Genova.

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Abolire province o prefetture?  Di Roberto Vacca, 6 Aprile 2012

Il Governo riduce il bilancio delle prefetture di mezzo miliardo. Ridurrà un po’ il deficit. Nessuno dice, però, quanto costino all’anno i prefetti. Si può risparmiare ben di più. Si è parlato di abolire le province che hanno funzioni concrete: istruzione, cultura, turismo, trasporti, viabilità, territorio, protezione dell’ambiente, sviluppo economico. Se le aboliamo, altri vicarieranno le loro funzioni. Il risparmio sarà illusorio: consisterà in controllo di qualità e innalzamento dell’efficienza. di cui c’è sempre bisogno. Indago in rete sul costo annuo di province e prefetture. [l’Annuario ISTAT non lo cita].. I numeri non sono univoci: ci sono: spese impegnate, di competenza, residui. Grosso modo le prefetture costano circa 9 miliardi, ma fanno cose utili. Le prefetture costano 6 miliardi, ma non hanno funzioni utili. A parte sprechi lussuosi, i prefetti servono solo a frenare ed estendere in periferia il potere centrale. Hanno anche effetti peggiori: 68 anni fa li descrisse duramente Luigi Einaudi. Fu il più rivoluzionario Presidente che abbia avuto la nostra Repubblica. Non teneva tanto nemmeno alle province. Scrisse queste parole – in Svizzera, quando l’Italia era sotto i tedeschi:

Via il prefetto! di Luigi Einaudi, Gazzetta ticinese 17/7/1944, (firmato Junius)
Proporre, in Italia ed in qualche altro paese di Europa, di abolire il "prefetto" sembra stravaganza degna di manicomio. Istituzione veneranda, venuta a noi dalla notte dei tempi, il prefetto è quasi sinonimo di governo e, lui scomparso, sembra non esistere più nulla. Chi comanda e chi esegue fuor dalla capitale? Come opera l'amministrazione pubblica? In verità, il prefetto è una lue che fu inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone. Gli antichi governi erano, prima della rivoluzione francese, assoluti solo di nome, e di fatto vincolati d'ogni parte, dai senati e dalle camere dei conti o magistrati camerali, gelosissimi del loro potere di rifiutare la registrazione degli editti regii, che, se non registrati, non contavano nulla, dai corpi locali privilegiati, auto-eletti per cooptazione dei membri in carica, dai patti antichi di infeudazione, di dedizione e di annessione, dalle consuetudini immemorabili. Gli stati  italiani governavano entro i limiti posti dalle "libertà" locali, territoriali e professionali. Spesso "le libertà" municipali e regionali erano "privilegi" di ceti, di nobili, di corporazioni artigiane ed erano dannose all'universale. Nella furia di strappare i privilegi, la rivoluzione francese distrusse, continuando l'opera iniziata dai Borboni, le libertà locali; e Napoleone, dittatore all'interno, amante dell'ordine, sospettoso, come tutti i  tiranni, di ogni forza indipendente, spirituale o temporale, perfezionò  l'opera. I governi restaurati trovarono comodo di non restaurare, se non  di nome, gli antichi corpi limitatori e conservarono il prefetto  napoleonico. L'Italia nuova, preoccupata di rinsaldare le membra disiecta degli antichi ex-stati in un corpo unico, immaginò che il federalismo fosse il nemico ed estese il sistema prefettizio anche a quelle parti d'Italia, come le province ex-austriache, nelle quali la lue erasi infiltrata con manifestazioni attenuate. Si credette di instaurare libertà  e democrazia e si foggiò lo strumento della dittatura.
Democrazia e prefetto repugnano profondamente l'una all'altro. Né in  Italia, né in Francia, né in Spagna, né in Prussia si ebbe mai e non si avrà mai democrazia, finche esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto. 
Coloro i quali parlano di democrazia e di costituente e di volontà  popolare e di autodecisione e non si accorgono del prefetto, non sanno  quel che si dicono. Elezioni, libertà di scelta dei rappresentanti, camere, parlamenti, costituenti, ministri responsabili sono una lugubre  farsa nei paesi a governo accentrato del tipo napoleonico. Gli uomini di  stato anglo-sassoni, i quali invitano i popoli europei a scegliersi la  forma di governo da essi preferita, trasportano inconsciamente parole e  pensieri propri dei loro paesi a paesi nei quali le medesime parole hanno  un significato del tutto diverso. Forse i soli europei del continente, i quali sentendo quelle parole le intendono nel loro significato vero sono, insieme con gli scandinavi, gli svizzeri; e questi non hanno nulla da  imparare, perché quelle parole sentono profondamente da sette secoli.  Essi sanno che la democrazia comincia dal comune, che è cosa dei cittadini, i quali non solo eleggono i loro consiglieri e sindaci o  presidenti o borgomastri, ma da se, senza intervento e tutela e comando di  gente posta fuori del comune od a questo sovrapposta, se lo amministrano,  se lo mandano in malora o lo fanno prosperare. L'auto-governo continua nel  cantone, il quale è un vero stato, il quale da sè si fa le sue leggi, se le vota nel suo parlamento e le applica.  Il governo federale, a sua volta, per le cose di sua competenza, ha un parlamento per deliberare le leggi sue proprie ed un consiglio federale  per applicarle ed amministrarle. E tutti questi consessi ed i 25 cantoni e  mezzi cantoni e la confederazione hanno così numerosissimi legislatori e centinaia di ministri, grossi e piccoli, tutti eletti, ognuno dei quali attende alle cose proprie, senza vedersi mai tra i piedi il prefetto,  ossia la longa manus del ministro o governo più grosso, il quale insegni od ordini il modo di sbrigare le faccende proprie dei ministri più  piccoli. Cosi pure si usa governare in Inghilterra, con altre formule di parrocchie, borghi, città, contee, regni e principati; cosi si fa negli  Stati Uniti, nelle federazioni canadese, sudafricana, australiana e nella  Nuova Zelanda. Nei paesi dove la democrazia non è una vana parola, la  gente sbriga da se le proprie faccende locali (che negli Stati Uniti si  dicono anche statali), senza attendere il la od il permesso dal governo  centrale. Cosi si forma una classe politica numerosa, scelta per via di  vagli ripetuti. Non è certo che il vaglio funzioni sempre a perfezione; ma  prima di arrivare ad essere consigliere federale o nazionale in Svizzera, o di essere senatore o rappresentante nel congresso nord americano,  bisogna essersi fatto conoscere per cariche coperte nei cantoni o negli  stati; ed essersi guadagnato una qualche fama di esperto ed onesto  amministratore. La classe politica non si forma da sé, ne è creata dal  fiat di una elezione generale. Ma si costituisce lentamente dal basso; per  scelta fatta da gente che conosce personalmente le persone alle quali  delega la amministrazione delle cose locali piccole; e poi via via quelle  delle cose nazionali od inter-statali più grosse.  La classe politica non si forma tuttavia se l'eletto ad amministrare le  cose municipali o provinciali o regionali non è pienamente responsabile   per l'opera propria. Se qualcuno ha il potere di dare a lui ordini o di annullare il suo operato, l'eletto non è responsabile e non impara ad  amministrare. Impara ad ubbidire, ad intrigare, a raccomandare, a cercare  appoggio. Dove non esiste il governo di se stessi e delle cose proprie, in che consiste la democrazia? 
 Finche esisterà in Italia il prefetto, la deliberazione e l'attuazione non spetteranno al consiglio municipale ed al sindaco, al consiglio  provinciale ed al presidente; ma sempre e soltanto al governo centrale, a  Roma; o, per parlar più concretamente, al ministro dell'interno. Costui è  il vero padrone della vita amministrativa e politica dell'intero stato.  Attraverso i suoi organi distaccati, le prefetture, il governo centrale  approva o non approva i bilanci comunali e provinciali, ordina l'iscrizione di spese di cui i cittadini farebbero a meno, cancella altre  spese, ritarda l'approvazione ed intralcia il funzionamento dei corpi  locali. Chi governa localmente di fatto non è né il sindaco né il  consiglio comunale o provinciale; ma il segretario municipale o  provinciale. Non a caso egli è stato oramai attruppato tra i funzionari  statali. Parve un sopruso della dittatura ed era la logica necessaria  deduzione del sistema centralistico. Chi, se non un funzionario statale, può interpretare ed eseguire le leggi, i regolamenti, le circolari, i  moduli i quali quotidianamente, attraverso le prefetture, arrivano a fasci da Roma per ordinare il modo di governare ogni più piccola faccenda  locale? Se talun cittadino si informa del modo di sbrigare una pratica dipendente da una legge nuova, la risposta è: non sono ancora arrivate le  istruzioni, non è ancora compilato il regolamento; lo si aspetta di giorno  in giorno. A nessuno viene in mente del ministero, l'idea semplice che  l'eletto locale ha il diritto e il dovere di interpretare lui la legge,  salvo a rispondere dinnanzi agli elettori della interpretazione data? Che  cosa fu e che cosa tornerà ad essere l'eletto del popolo in uno stato  burocratico accentrato? Non un legislatore, non un amministratore; ma un  tale, il cui merito principale e di essere bene introdotto nei capoluoghi  di provincia presso prefetti, consiglieri e segretari di prefettura, provveditori agli studi, intendenti di finanza, ed a Roma, presso i  ministri, sotto-segretari di stato e, meglio e più, perché di fatto più  potenti, presso direttori generali, capi-divisione, segretari, vice-segretari ed uscieri dei ministeri.  Il malvezzo di non muovere la " pratica " senza una spinta, una  raccomandazione non è recente né ha origine dal fascismo. E' antico ed è  proprio del sistema. Come quel ministro francese, guardando l'orologio, diceva: a quest'ora, nella terza classe di tutti i licei di Francia, i  professori spiegano la tal pagina di Cicerone; così si può dire di tutti  gli ordini di scuole italiane. Pubbliche o private, elementari o medie od universitarie, tutto dipende da Roma: ordinamento, orari, tasse, nomine  degli insegnanti, degli impiegati di segreteria, dei portieri e dei   bidelli, ammissioni degli studenti, libri di testo, ordine degli esami,  materie insegnate. I fascisti concessero per scherno l'autonomia alle  università; ma era logico che nel sistema accentrato le università  fossero, come subito ridiventarono, una branca ordinaria  dell'amministrazione pubblica; ed era logico che prima del 1922 i deputati  elevassero querele contro quelle che essi imprudentemente chiamarono le  camorre dei professori di università, i quali erano riusciti, in mezzo secolo di sforzi perseveranti e di costumi anti-accentratori a poco a poco  originati dal loro spirito di corpo, a togliere ai ministri ogni potere di   scegliere e di trasferire gli insegnanti universitari e quindi ogni   possibilità ai deputati di raccomandare e promuovere intriganti politici a   cattedre.  Agli occhi di un deputato uscito dal suffragio universale ed investito di  una frazione della sovranità popolare, ogni resistenza di corpi autonomi, di enti locali, di sindaci decisi a far valere la volontà dei loro  amministrati appariva camorra, sopruso o privilegio. La tirannia del centro, la onnipotenza del ministero, attraverso ai prefetti, si converte  nella tirannia degli eletti al parlamento. Essi sanno di essere i ministri del domani, sanno che chi di loro diventerà ministro dell'interno, disporrà della leva di comando del paese; sanno che nessun presidente del  consiglio può rinunciare ad essere ministro dell'interno se non vuol correre il pericolo di vedere "farsi" le elezioni contro di lui dal  collega al quale egli abbia avuto la dabbenaggine di abbandonare quel  ministero, il quale dispone delle prefetture, delle questure e dei  carabinieri; il quale comanda a centinaia di migliaia di funzionari piccoli e grossi, ed attraverso concessioni di sussidi, autorizzazioni di  spese, favori di ogni specie adesca e minaccia sindaci, consiglieri, presidenti di opere pie e di enti morali. A volta a volta servo e tiranno  dei funzionari che egli ha contribuito a far nominare con le sue  raccomandazioni e dalla cui condiscendenza dipende l'esito delle pratiche  dei suoi elettori, il deputato diventa un galoppino, il cui tempo più che dai lavori parlamentari è assorbito dalle corse per i ministeri e dallo   scrivere lettere di raccomandazione per il sollecito disbrigo delle pratiche dei suoi elettori.
Perciò il delenda Carthago della democrazia liberale è: Via il prefetto! Via con tutti i suoi uffici e le sue dipendenze e le sue ramificazioni! Nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata; nemmeno lo stambugio del portiere. Se lasciamo sopravvivere il portiere, presto accanto a lui sorgerà una fungaia di baracche e di capanne che si  trasformeranno nel vecchio aduggiante palazzo del governo. Il prefetto  napoleonico se ne deve andare, con le radici, il tronco, i rami e le   fronde. Per fortuna, di fatto oggi in Italia l'amministrazione  centralizzata è scomparsa.  Ha dimostrato di essere il nulla; uno strumento privo di vita propria, del  quale il primo avventuriero capitato a buon tiro poteva impadronirsi per  manovrarlo a suo piacimento. Non accadrà alcun male, se non ricostruiremo  la macchina oramai guasta e marcia. L'unita del paese non è data dai prefetti e dai provveditori agli studi e dagli intendenti di finanza e dai segretari comunali e dalle circolari ed istruzioni ed autorizzazioni romane. L'unita del paese è fatta dagli italiani. Dagli italiani, i quali  imparino, a proprie spese, commettendo spropositi, a governarsi da sé. La  vera costituente non si ha in una elezione plebiscitaria, a fin di guerra. Così si creano o si ricostituiscono le tirannie, siano esse di dittatori o  di comitati di partiti. Chi vuole affidare il paese a qualche altro  saltimbanco, lasci sopravvivere la macchina accentrata e faccia da questa  e dai comitati eleggere a costituente. Chi vuole che gli italiani   governino se stessi, faccia invece subito eleggere i consigli municipali,  unico corpo rimasto in vita, almeno come aspirazione profondamente sentita  da tutti i cittadini; e dia agli eletti il potere di amministrare  liberamente; di far bene e farsi rinnovare il mandato, di far male e farsi  lapidare. Non si tema che i malversatori del denaro pubblico non paghino il fio, quando non possano scaricare su altri, sulla autorità tutoria, sul governo la colpa delle proprie malefatte. La classe politica si forma cosi: col provare e riprovare, attraverso a fallimenti ed a successi. Sia che si conservi la provincia; sia che invece la si abolisca, perché ente artificioso, antistorico ed anti-economico e la si costituisca da parte con il distretto o collegio o vicinanza, unita più piccola, raggruppata attorno alla cittadina, al grosso borgo di mercato, dove convengono naturalmente per i loro interessi ed affari gli abitanti dei comuni dei dintorni, e dall'altra con la grande regione storica: Piemonte, Liguria, Lombardia, ecc.; sempre, alla pari del comune, il collegio regione  dovranno amministrarsi da se, formarsi i propri governanti elettivi,  liberi di gestire le faccende proprie del comune, del collegio e della provincia, liberi di scegliere i propri funzionari e dipendenti, nel modo  e con le garanzie che essi medesimi, legislatori sovrani nel loro campo, vorranno stabilire. Si potrà discutere sui compiti da attribuire a questo o quell'altro ente  sovrano; ed adopero a bella posta la parola sovranità e non autonomia, ad  indicare che non solo nel campo internazionale, con la creazione di  vincoli federativi, ma anche nel campo nazionale, con la creazione di  corpi locali vivi di vita propria originaria non derivata dall'alto, urge  distruggere l'idea funesta della sovranità assoluta dello stato. Non temasi dalla distruzione alcun danno per l'unità nazionale. L'accentramento napoleonico ha fatto le sue prove e queste sono state negative: una burocrazia pronta a ubbidire a ogni padrone, non radicata  nel luogo, indifferente alle sorti degli amministrati; un ceto politico  oggetto di dispregio, abbassato a cursore di anticamere prefettizie e  ministeriali, prono a votare in favore di qualunque governo, se il voto poteva giovare ad accaparrare il favore della burocrazia poliziesca e a premere sulle autorità locali nel giorno delle elezioni generali; una polizia, non collegata, come dovrebbe, esclusivamente con la magistratura inquirente e giudicante e con i carabinieri, ma divenuta strumento di inquisizione politica e di giustizia "economica", ossia arbitraria. L'arbitrio poliziesco erasi affievolito all'inizio del secolo; ma lo  strumento era pronto; e, come già con Napoleone, ricominciarono a giungere  al dittatore i rapporti quotidiani della polizia sugli atti e sui propositi di ogni cittadino sospetto; e si potranno di nuovo comporre, con quei fogli, se non li hanno bruciati prima, volumi di piccola e di grande storia di interesse appassionante. E quello strumento, pur guasto, e pronto, se non lo faremo diventare mero organo della giustizia per la prevenzione dei reati e la scoperta dei loro autori, a servire nuovi  tiranni e nuovi comitati di salute pubblica. Che cosa ha dato all'unità d'Italia quella armatura dello stato di polizia, preesistente, ricordiamolo bene, al 1922? Nulla. Nel momento del pericolo è svanita e sono rimasti i cittadini inermi e soli. Oggi essi si attruppano in bande di amici, di conoscenti, di borghigiani; e li chiamano partigiani. È lo stato il quale si rifà spontaneamente. Lasciamolo riformarsi dal basso, come è sua natura. Riconosciamo che nessun vincolo dura, nessuna unita e salda, se prima gli uomini i quali si conoscono ad  uno ad uno non hanno costituito il comune; e di qui, risalendo di grado in grado, sino allo stato. La distruzione della sovrastruttura napoleonica, che gli italiani non hanno amato mai, offre l'occasione unica di ricostruire lo stato partendo dalle unità che tutti conosciamo e amiamo: la famiglia, il comune, la vicinanza e la regione. Cosi possederemo finalmente uno stato vero e vivente

Di Roberto Vacca, 6 Aprile 2012

Sunday, November 27, 2011

Influenza: difese serie, non scienza popolare – di Roberto Vacca, 27/11/2011

Influenza: difese serie, non scienza popolare – di Roberto Vacca, 27/11/2011

Allego articolo pubblicato oggi da "Il Caffè" di Locarno su epidemie di
influenza - vere e finte.
Io ho analizzato matematicamente l'andamento di cancro, AIDS e anche della
peste (Plague) inglese del 1665 -- tutti casi rappresentabili accuratamente
con equazioni di Volterra (logistiche a tre valori)
Per l'influenza le cose sono più complicate perché il periodo di massima
diffusione della malattia è (con forti variazioni) fra fine novembre e
Marzo, però le diagnosi sono spesso puramente indiziarie e non virologiche.
Quindi non si identificano per la maggioranza dei pazienti i vari ceppi A e
>B e certi stati morbosi si chiamano genericamente ILI (Influenza Like
Illness).
Racconto come alcune ricerche vengano fatte con sondaggi tra i cittadini
(poco affidabili) -- in Italia il monitoraggio viene fatto più seriamente
(in collaborazione fra Ministero Sanità, Ist.Superiore di Sanità e Centro
Interuniversitario di Ricerca sull’Influenza.
Vaccinarsi conviene: non fa male e c'è una buona probabilità (sia pure
variabile e incognita) che faccia bene.
Best
Roberto 

Saturday, June 11, 2011

Roberto Vacca – Spiego perché voto SI: in questo modo si elimina la legge 75/2011, confusa e incasinata

Ringrazio di cuore l'.Ing, Roberto Vacca per quello che dice e per come lo dice:

Allego mio articolo pubblicato oggi da L'UNITA' sul referendum nucleare.
Spiego perché voto SI:  in questo modo si elimina la legge 75/2011, confusa
e incasinata [introdotta il 26/5 dall'attuale governo] che dà carta bianca
al governo per adottare fra 12 mesi le "strategie energetiche nazionali" che
vorrà - e data l'usuale incompetenza del governo, c'è da aspettarsi il
peggio.
Dunque votare SI non vuol dire affatto votare "contro il nucleare", ma
eliminare una legge deplorevole, dopo di che (anche subito) se ne potrà fare
un'altra ben congegnata con l'aiuto di esperti. Parecchi di questi esperti -
amici che stimo - predicano l'astensione. Credono che, mantenendo la legge
75 (il che accade se non si raggiunge il quorum) si favorirebbe la
realizzazioni di centrali elettronucleari. Non è così: per farle bene (il
che è possibile in linea teorica) occorre analizzare tutte le opzioni e
spiegarle bene al pubblico.
Il referendum non è pro (NO) o contro (SI) il nucleare, ma pro o contro
l'orrida legge 75. Chiariamo l'equivoco - simile a quello del referendum del
1987. Anche questo non fu "contro il nucleare" ma abolì 3 leggi per cui:

- l'Italia smise di finanziare la ricerca francese sui reattori veloci
Superphoenix
- la scelta dei siti di centrali nucleari fu tolta al CIPE e data al
Parlamento
- fu abolito il finanziamento ai Comuni in cui costruire centrali nucleari.

Cerco di dire chiaro come stanno le cose. A confondere le idee contribuisce
anche Ratzinger, che esorta a usare energie non pericolose per l'uomo:
dimostra di nuovo di non capire e non sapere. Infatti non cita nemmeno il
pericolo N°1 - quello delle 12.000 testate nucleari ancora esistenti (con
potenziale distruttivo equivalente a 730 kg di alto esplosivo per OGNI
essere umano).
Concludo: voto SI per le ragioni giuste, non per quelle immaginarie - chi si
astiene cerca di conservare almeno per 5 anni un'orrida legge della destra.

IL TITOLO che L'Unità mi ha dato è "Io, uomo di scienza, sul nucleare voterò
SI" --- spero che chi lo legge capisca subito che non ne sono l'autore. Non
pretendo di essere uomo di scienza (sebbene abbia prodotto alcuni teoremi
matematici) - in TV uso il "sottopancia": "ingegnere/scrittore". A chi mi
chiama scienziato o intellettuale, dico che sono metalmeccanico.



Referendum   nucleare:  astensione   controproducente      il SI razionale,  di Roberto Vacca – 7/6/2011 – L’UNITA’
È insensato essere pro o contro il nucleare, come lo è essere pro o contro le auto: ottime quelle moderne, mantenute bene, non i ruderi sbidonati. “IL nucleare” non esiste. Va bene quello modulare a sicurezza intrinseca, non quelli di Chernobyl o Fukushima. Il primo non potrebbe certo esser realizzato in base alla legge 75/2011 del 26/5/2011: un minestrone generico (nelle ultime 3 righe cambia anche il proprio titolo). Parla anche di stampa, TV, Servizio Sanitario in Abruzzo, trattamento scorie radioattive. Stabilisce: “entro un anno il Consiglio dei Ministri adotterà strategie energetiche nazionali, diversificando fra fonti energetiche”. Cioè: carta bianca all’attuale governo (che ha dimostrato incompetenza e priorità distorte in tanti settori) per ricorrere a nucleare o qualsiasi altra fonte.
Se il Referendum del 12 Giugno non raggiungesse il quorum, ci porteremmo dietro per 5 anni questa legge vaga, aperta a improvvisazioni avventate. Ho ricevuto da Chicco Testa un “Appello di intellettuali e scienziati per non chiudere definitivamente l’opzione nucleare in Italia”: invita a disertare le urne, così senza quorum il referendum si annullerebbe. Hanno aderito colti amici fra cui fisici ed esperti. Penso che abbiano fatto male. Il testo dice: “la vittoria del SI provocherebbe una censura preventiva che impedirebbe agli italiani di essere informati sull’evoluzione del nucleare e … indebolirebbe il ruolo dell’Italia nella discussione internazionale. È, invece, importante che il nostro paese abbia voce in capitolo per stabilire i requisiti di sicurezza da imporre alle decine di centrali alle nostre frontiere.” Non è vero. Cancellare articoli della legge 75 bloccherà iniziative avventate del Governo: non l’informazione. Questa è stata bloccata, invece, dai tagli che il Governo ha praticato a ricerca e risorse della scuola. La confusa legge 75, poi, non darebbe voce in capitolo all’Italia per stabilire norme internazionali. L’Appello dice che la Legge 75 permetterebbe di “conquistare la fiducia delle popolazioni locali … riaprendo il discorso sul nucleare”. Non è così: la fiducia del pubblico si ottiene offrendo informazione chiara, fornita da esperti veri - non con testi burocratici e improvvisati.
Dunque non aderisco a quell’appello. Disapprovo l’astensione: conserverebbe la legge confusa del 26/5, chiudendo la strada a decisioni sensate. È bene che l’energia nucleare sia prodotta e sottoposta al controllo della società. Per farlo è vitale che il pubblico sappia di più e capisca i problemi. Voterò SI – eliminata la Legge 75, faremo bene, poi, a  diffondere conoscenza, fare ricerca, progettare e realizzare soluzioni energetiche anche nucleari, sicure e condivise.
Taluno dice: “Il nucleare è troppo rischioso:ha prodotto un disastro perfino in Giappone - che usa tecnologia alta ed eccellente. Figurarsi che accadrebbe in Italia col nostro pressappochismo.” Ma anche il Giappone è inaffidabile. Perfino la rete elettrica è suddivisa in due, nelle regioni orientali a 50 Hertz, nelle regioni occidentali a 60 Hertz. Le due reti, incompatibili, hanno dimensioni simili. Le centrali dell'Ovest, non coinvolte nel recente disastro, non possono alimentare l'Est. Inoltre anche Fukushima non è stata modernizzata per 40 anni. Il Kaizen (= miglioramento continuo) giapponese è un mito. Pratichiamolo noi: ma sul serio.
La sicurezza deve essere intrinseca: gli interventi di raffreddamento non vanno affidati a circuiti di controllo che fanno partire motori (sempre vulnerabili), ma a fenomeni naturali (dilatazione di metalli, forza di gravità). Piccoli reattori nucleari a sicurezza intrinseca sono stati progettati anche a Roma. L’eccellenza della qualità non può essere solo vantata: va progettata, realizzata e controllata. Le opzioni sono tante. Fra queste anche il ricorso ai più sicuri reattori di quarta generazione ad alta temperatura raffreddati a gas. Per prendere queste decisioni complesse bisogna studiare e capire, non ripetere slogan pro e contro.

Saturday, May 28, 2011

Mi onoro di postare un articolo dell'Ing. Roberto Vacca. Lui è sempre stato 20 anni piu avanti degli altri

Giappone: rischiosa la rete elettrica non intelligente, di Roberto Vacca,
4 Aprile 2011
Taluno ha detto: “Il nucleare è troppo rischioso, perché ha prodotto un disastro tremendo perfino in Giappone - il Paese che usa alta tecnologia di qualità eccellente. Figurarsi che accadrebbe in Italia col nostro pressappochismo.”
Non è un ragionamento sensato. Alti livelli di sicurezza si garantiscono elaborando alberi di eventi (per analizzare le conseguenze di ogni possibile rischio). Si assicurano anche costruendo sistemi ridondanti: in caso di guasto ogni funzione è svolta da altre unità, per altre vie – si chiama ridondanza. Ma in Giappone è inaffidabile proprio la rete elettrica. Fu creata nel 1896 già suddivisa in due parti, quando aziende elettriche delle regioni orientali importarono apparati Siemens (funzionanti a corrente alternata a 50 Hertz, cioè 50 cicli al secondo) e altre nelle regioni occidentali ne importarono da Westinghouse e General Electric (funzionanti a 60 Hertz). Le due reti hanno dimensioni poco diverse e sono restate separate e incompatibili per 115 anni – fino a oggi. Quindi le centrali dell'Ovest, non coinvolte nel recente disastro, non potevano e non possono essere collegate per alimentare utenze dell'Est. In mezzo c'è una centrale di conversione di frequenza, ma la potenza massima che può trasformare da 60 a 50 Hertz è meno di un GigaWatt (un milione di kiloWatt) cioè la metà dell’uno per cento della potenza totale. Questa può produrre 80 GigaWatt nella parte Est e 120 GigaWatt nella parte Ovest. La situazione è documentata nella letteratura tecnica e, naturalmente, su Web, la rete Internet e anche su Wikipedia.
È una situazione assurda: molti elettrotecnici italiani non riescono a credere che i giapponesi l’abbiano ereditata tranquillamente. Ai tempi antichi in Italia esistevano piccole reti a 42 Hertz, ma si allinearono sui 50 Hertz come il resto d’Europa. Gli anziani ricordano che le linee ferroviarie liguri-piemontesi furono costruite nel 1925 (e fino alla guerra) in corrente trifase (3000 Volt, 16 2/3 Hertz). Dopo la guerra tutte le ferrovie italiane usarono corrente continua a 3000 Volt – standard unico. I giapponesi portano un ritardo di oltre 60 anni. Fare energia nucleare o solo gestire l’energia di un paese in queste condizioni è rischioso – e rallenterà la ripresa dopo il disastro dell’11 Marzo.
La gestione di grandi sistemi tecnologici non è una scienza esatta. Si giova anche di principi semplici che chiunque può capire. I giapponesi hanno vantato la teoria e la pratica del kaizen – tendenza al miglioramento continuo: operare ogni giorno meglio del giorno prima, innalzando la qualità, la sicurezza, la funzionalità, la semplicità di ogni impianto, di ogni fabbrica, di ogni prodotto. Ai lavoratori giapponesi si insegna a tenere note delle proprie esperienze e a comportarsi come piccoli scienziati. L’impegno personale non basta: lavoratori e operai si organizzano, allora, in “circoli di qualità” per discutere problemi e cercare soluzioni nuove. Teoria e pratica della gestione totale di qualità furono introdotte in Giappone dopo la guerra da famosi esperti americani (Baldridge, Juran). Si parlava di “difetti zero” – e a ragione. La perfezione di prodotti nipponici divenne proverbiale. Però hanno trascurato questi sani principi proprio nel settore dell’energia elettrica, in cui la rete rappresenta una ricchezza enorme. Rende disponibile l’energia ovunque sia richiesta e ovunque sia generata – ma in Giappone no. Il principio del Kaizen è stato disatteso anche nelle centrali nucleari di Fukushima. Furono costruite 40 anni fa: per modernizzarle: non era disponibile un giorno solo, ma 14.600 (= 40 x 365). Invece sono rimaste alla tecnologia di mezzo secolo fa. Nei progetti moderni la sicurezza deve essere intrinseca: gli interventi di raffreddamento non sono affidati a circuiti di controllo che fanno partire motori, ma a fenomeni naturali come la dilatazione di metalli e la forza di gravità. Piccoli reattori nucleari a sicurezza intrinseca sono stati progettati (ma non costruiti) anche a Roma. L’eccellenza della qualità non può essere solo vantata: va progettata, realizzata e controllata.
Medioevo Prossimo Venturo, La Degradazione Dei Grandi Sistemi

Saturday, May 7, 2011

L'io-universo e le Summulae logicales di Pietro Hispano: perche è indimostrabile l'esistenza

L'io-universo e le Summulae logicales di Pietro Hispano: perche è indimostrabile l'esistenza
Questa è un'approccio "clandestino" ai temi cari alla filosofia e alla metafisica.
Alcune spiegazioni di al mio approccio sono contenute nel mio scritto "ai confini della follia" in questo blog.
L'ipotesi dell'io-universo parte da una considerazione completamente diversa da quelle assunte dalla filosofia. Nell'approccio consueto il mondo è separato e diverso dal'io che lo guarda.
Questo approccio si trova in difficoltà ogni volta che è necessario affrontare un concetto di esistenza. Perche qualcosa esiste deve esistere in un tempo e in una posizione specifica ma è necessario che esista nel tempo cosi la stessa entità deve esistere anche in un punto ubicato in un tempo successivo.
Il problema è che mentre ci sembra ( ma non è cosi semplice ) presupporre che qualcosa esista in uno specifico punto ad un certo tempo non è affatto facile esprimere cosa è la linea di esistenza che collega i due momenti in considerazione. Secondo la mia ipotesi, che chiamo io-universo, quello che collega i due punti esiste solo nella coscienza dell'io che guarda. Inoltre l'io-universo ipotizza un io che sia tutto che esista, che sia potuto esistere e che esisterà. In questo io-universo esiste tutto cio che io chiamo mondo compresi quello che io chiamo altri o quello che io chiamo mondo materiale.
Mi chiedo se l'impossibiltà di dimostrare l'esistenza di Dio provenga dalla impossibilità di dimostrare l'esistenza di qualunque cosa a meno di non ammettere che avvenga dentro la nostra mente.

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